“I miei testi emettono una critica,
come l’uranio emette radiazioni,
ma come l’uranio hanno anche altre proprietà.”
Martin Crimp
Attentati alla vita di lei, 17 soggetti per il teatro, in un unico testo che sembra ragionare intorno sull’identità di una fantomatica Anne. Chi è Anne? O Annie, Anya Annushka? E’ una figlia ideale, una terrorista? No. Una pornostar? No. Un’artista performativa? Un albero, una nazione, una macchina, una giovane donna innamorata? Ancora. No. Ma esiste poi Anne? O non abbiamo via via l’impressione che più si parli di lei meno esista?
Questo testo che non ha personaggi, di certo non ha una storia e forse neppure una protagonista, è tutto nel linguaggio e sul linguaggio, in una scrittura investigativa che contiene, mette alla prova ed esibisce tutti i propri dispositivi.
Anne non c’è – ed è chiaro fin dai primi messaggi registrati che di lei tracciano non uno, ma tanti profili -. Non vi sono personaggi, piuttosto attitudini a disposizione della trama. Ma è poi una trama? O piuttosto un attentato a qualsiasi tentativo di ricostruire un racconto che pretenda di controllare desideri, intenzioni e fatti – insomma la realtà – e nel nominarli ossessivamente non fa che disintegrarli? Il protagonista è proprio ciò che manca, mancanza che non si sopporta, che è horror vacui, e che ogni identità di Anne serve a negare, a coprire, a riscrivere. Instancabilmente.
Che cos’è – attentando e tentando il linguaggio – fin dentro i sistemi, i generi narrativi, le matrici drammaturgiche, le stesse strutture semantiche e semiotiche – e dunque di potere – questo qualcosa d’altro che il testo continua a suggerirci, mettendoci a disagio, come fosse un indizio pericoloso? E’ minaccioso per la sua bellezza, “è sexy e respingente” nello slittamento continuo di prospettive e soggetti. Nella costruzione di ragionamenti, oggetti, colori, immagini e brandelli di Storia che dissemina nelle frasi, nelle citazioni, nelle pause, nei lapsus, nelle ripetizioni e nelle ellissi. Cosa rilascia questa Lingua che s’insinua – con un’operazione a cuore aperto – nella nostra psiche, lasciandoci l’impressione perturbante che stia parlando proprio di noi?
Sembrerebbe che Attentati alla vita di lei ci racconti della violenza della guerra e dei rapporti, del feticismo nascosto sotto i desideri, delle fondamenta irrintracciabili di un’Europa solo cartografica, di quell’ormai irrimediabile edificio che chiamiamo immaginario collettivo, dell’in-decenza dei media e dell’orrore del capitalismo globale.
Ma Anne in fondo è un simulacro, un iper oggetto. Dunque un utensile. Che mette a fuoco il meccanismo osceno – nell’etimo – della comunicazione e quindi – per elezione – del teatro stesso. Anne. Una matrioska per mettere alla prova il reale e le sue molteplici messe in scena. Anne è un attentato a quelle stesse forme di rappresentazione – magnifiche e insidiose, molteplici e stratificate – con cui proviamo a dare un senso alla realtà per controllarla, manipolarla e sperare d’esserne padroni.
Potremmo non lavorare per quadri conchiusi – come da indicazione dello stesso Crimp – ma azzardando un dispositivo unico così da avere un approdo narrativo e sfiorare quella drammaturgia contemporanea che entra ed esce da se stessa senza perdere il senso di un affresco.
Perché Attentati alla vita di lei si mette al lavoro grazie a una sorta di pensiero ombra: quando e soprattutto perché, si decide di prendere parola? Come rispondere allo spietato anonimato di un trattino? Tutto in questo testo si libera dalla coincidenza testo/personaggio, per costringere ogni interprete – nell’etimo – a scegliere le battute e piano, con pazienza, solo dopo aver inteso il ragionamento che il linguaggio stesso impone, azzardare percorsi, trame individuali e affezioni. Può essere respingente Attentati alla vita di lei, alla lettera, e determinare negli interpreti l’impressione che si parli solo di idee. Che sono troppo e troppo poco. L’orizzonte unico ci permette forse di stratificare l’effetto di un quadro sull’altro e far accadere le figure – portatrici di idee per dirla con Pasolini – ma rintracciandone nel percorso un’urgenza, una direzione e una specie di perturbata coerenza emotiva.
Dunque che ne è di Anne? E di noi? Il tentativo di darle senso non sembra solo impossibile certo, ma peggio, ridicolo, totalmente gratuito. Senza urgenza né necessità.
Resta una foto in movimento, ormai illeggibile, che prende, per sempre possesso di Anne.
Così, sradicate le domande dal proprio terreno, s’intravedono solo radici penzolanti. E sono altre domande. Tutte radici penzolanti.